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L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… la storia del restauro dei dipinti delle collezioni del museo

Nello spazio online della rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… diamo l’avvio a una serie di racconti dedicati alla storia del restauro dei dipinti delle collezioni del museo, una storia ricca di risvolti interessanti e di episodi singolari, che contribuiscono a rendere viva la narrazione che stiamo costruendo in queste pagine.

Lo sguardo è quello di restauratrici e restauratori che nelle opere cercano le tracce degli interventi del passato e i segni materiali di tante vicende, ma i racconti portano in luce personaggi che ricorrono nelle attività della corte e del museo.

Le storie così si intrecciano e ci restituiscono una realtà multiforme.

Angela Cerasuolo, responsabile del Dipartimento di Restauro del Museo e Real Bosco di Capodimonte, ci introduce a questi racconti con una panoramica sulle vicende salienti attraversate dai dipinti del museo e dai loro restauratori dal Settecento al Novecento.

 

Testatina della Lettera di Hackert

 

Il restauro a Napoli ha una lunga storia, che tanti studi e convegni hanno ormai delineato con una certa chiarezza.

 

La collaborazione fra museo e università ha consentito la realizzazione di progetti di ricerca in cui il confronto delle esperienze ha dato i suoi frutti.

 

Tappe fondamentali di questo dialogo sono state il convegno tenuto nell’Auditorium di Capodimonte nell’ottobre 1999, curato da Maria Ida Catalano e Gabriella Prisco sulla “Storia del restauro dei dipinti a Napoli e nel Regno nel XIX secolo” e quello organizzato nell’aprile 2007 a cura di Paola D’Alconzo, “Gli uomini e le cose. Figure di restauratori e casi di restauro in Italia fra il XVIII e il XX secolo”.

 

I volumi degli atti dei due convegni dedicati alla Storia del restauro a Napoli realizzati nel 1999 e nel 2007

 

Si è messo a fuoco così un intreccio appassionante di vicende, in cui su una radicata tradizione locale, consolidata sin dagli inizi del Settecento con l’attività di ‘telaioli’, artigiani fabbricanti di tele per dipingere che praticavano abilmente la foderatura delle tele, si sono innestati apporti di ‘forestieri’, fra conflitti e osmosi.

 

Preparazione delle tele per dipingere e foderatura di dipinti (Encyclopédie Méthodique, Arts et Métiers Mécaniques Planches t. VI, Paris-Liege 1789, Art du peintre-vernisseur, planche 2) / documenti d’archivio / Francesco Chiariello dal dipinto di Giovanni Ponticelli, Il Cavalier Bajardo convalescente, olio su tela, 1867

 

Emblematico è il caso del restauratore sassone Federico Anders, chiamato a Napoli da Ferdinando di Borbone su suggerimento di Philipp Hackert, il famoso paesaggista all’epoca pittore di corte.

 

All’indomani dall’arrivo del connazionale, Hackert ne loderà la perizia nel 1787 nella Lettera sull’uso delle vernici, un breve testo che darà origine a un’appassionata controversia su temi che da sempre animano il discorso sul restauro.

 

La Lettera sull’uso della vernice di Philipp Hackert, Napoli, 20 dicembre 1787

 

Ritratto di sir William Hamilton, particolare dal ritratto di David Allan, Blair Castle, Perthshire, olio su rame, 1770

 

Anders diviene restauratore di corte, e se inizialmente è osteggiato fieramente dagli artisti locali, sarà poi assimilato in una tradizione che ha sempre saputo accogliere e far propri gli apporti esterni.

 

Il suo metodo, basato su principi e pratiche del tutto nuove e consapevoli della specificità di una professione ben distinta da quella del pittore, sarà trasmessa per volontà del re ai suoi allievi.

 

E ancora nel 1832 il suo nome tornerà ad essere ricordato in un nuovo dibattito sulle vernici, in cui si celebrerà come restauro esemplare il suo intervento sull’Angelo Custode di Domenichino, ricordando che vi aveva

 

“supplito … una gran parte di aria … ed una mano interamente nuova”.

 

Domenichino, Angelo Custode, dettaglio dell’integrazione realizzata da Anders nel 1792

 

L’apporto di Anders diventa parte integrante della tradizione napoletana nel restauro, tradizione che si è perpetuata per lunghi anni nell’attività per il Real Museo Borbonico, a partire dalle intense campagne degli anni 20 dell’Ottocento, improntate a una notevole attenzione e documentate dalle carte di archivio.

 

 

 

Con un ritmo diverso, e con alterne vicende, i restauri durante il XIX secolo continueranno a essere al centro dell’attenzione della direzione del museo napoletano, divenuto con l’Unità Museo Nazionale.

 

 

Un altro momento di notevole fermento si verifica negli anni ‘30 del Novecento, quando Napoli ospita le sperimentazioni di Fernando Perez, medico argentino che dedica un’entusiasta ricerca all’applicazione di metodi scientifici all’esame dei dipinti.

 

Negli stessi anni in cui fonda e dirige il ‘Laboratoire pour l’ètude scientifique de la peinture’ al Louvre, Perez è l’ispiratore del ‘Gabinetto Pinacologico’ fondato da Sergio Ortolani nel 1932 presso il museo napoletano.

 

Fernando Perez nel laboratorio del Louvre (ph. archivi C2RMF)

 

L’ambizioso progetto di Ortolani non avrà mai una piena realizzazione, ma l’attività del laboratorio fotografico accompagnerà e documenterà per lungo tempo i restauri realizzati nel museo e sul territorio.

 

La ripresa a luce radente (ph. archivi C2RMF)

 

Attività che prenderà un nuovo impulso nel secondo dopoguerra con i laboratori voluti da Bruno Molajoli quando trasferisce le collezioni nella reggia di Capodimonte nel 1957.

 

Il laboratorio di restauro inizia la sua attività un anno prima dell’inaugurazione del museo, ed ospita numerosi fra i principali restauratori italiani di varia provenienza, rappresentando un fruttuoso luogo di confronto e di crescita anche per i restauratori locali.

 

Articolo di Selim Augusti sulla rivista “Studies in Conservation” (v. 4 n. 3, 1959), The Conservation Laboratory of the Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte dedicato all’organizzazione dei laboratori del Museo di Capodimonte

 

Il laboratorio di restauro di Capodimonte illustrazione dell’articolo di Selim Augusti, The Conservation Laboratory of the Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte

 

La direzione dei laboratori scientifici di Capodimonte viene affidata a Selim Augusti, direttore del laboratorio di chimica e fisica dell’Istituto Centrale del Restauro, ma legato a Napoli e alle esperienze pionieristiche di Ortolani fin dagli anni trenta.

 

A Capodimonte Augusti conduce le sue ricerche, assiste l’attività dei restauratori e realizza campagne radiografiche, tenendo costantemente informata la comunità internazionale su quanto si realizza a Napoli.

 

Il laboratorio di radiologia di Capodimonte, illustrazione dell’articolo di Selim Augusti, The Conservation Laboratory of the Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte

 

L’attività dei laboratori in quegli anni, affidati alla direzione di Raffaello Causa, viene presentata in una serie di mostre di restauro, di cui l’ultima, la IV Mostra di restauri del 1960, rappresenta un consuntivo e una esposizione di tutto quanto realizzato negli intensi anni che l’hanno preceduta.

 

Invito per la ‘IV Mostra di Restauri’, Napoli, Palazzo Reale, 13 novembre – 11 dicembre 1960

 

Napoli, Palazzo Reale, ‘IV Mostra di Restauri’, 13 novembre – 11 dicembre 1960

 

In seguito, Capodimonte continua ad ospitare restauratori provenienti da altre località, che si affiancano a quelli locali in un continuo scambio.

 

Importante l’apporto del fiorentino Leonetto Tintori e dei suoi collaboratori, a cui vengono affidati molti dei più importanti dipinti del museo.

 

Leonetto Tintori (al centro) con Giuseppe Rosi e Alfio Del Serra

 

Un apporto significativo è stato quello di Antonio De Mata, che ha messo a punto un articolata tecnica di foderatura particolarmente efficace per le complesse problematiche conservative dei dipinti su tela del XVII e XVIII secolo.

 

Per la singolare perizia ma soprattutto per la sensibilità del suo approccio De Mata ha influito su tutta una generazione di restauratori che in quegli anni hanno avuto modo di frequentarlo come collaboratori, allievi o colleghi.

 

Negli anni che seguirono l’immissione di nuove forze nel personale della Soprintendenza, tanto fra gli storici dell’arte che fra i restauratori, offrì nuove energie ed entusiasmo all’attività del laboratorio, che continuò in maniera intensa con la direzione di Nicola Spinosa nella programmazione di due grandi mostre volute da Raffaello Causa: “Civiltà del ‘700” e “Civiltà del ‘600” rispettivamente realizzate nel 1979 e nel 1984.

 

Napoli, Museo di Capodimonte, Mostra ‘Civiltà del Settecento a Napoli’, dicembre 1979 – ottobre 1980, la sala degli argenti (ph. Mimmo Jodice)

 

Napoli, Museo di Capodimonte, Mostra ‘Civiltà del Seicento a Napoli’, 22 ottobre 1984 – 14 aprile 1985 (ph. Mimmo Jodice)

 

Il testo di Angela Cerasuolo è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”

 

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