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L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Francesco Barberini, Antonio Giorgetti e il medaglione allegorico di Luca Olstenio

Il protagonista della rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… è Luca Olstenio e il medaglione bronzeo modellato per la sua tomba romana da Antonio Giorgetti, uno dei più valenti collaboratori di Bernini.

Una pregevole opera d’arte, una sofisticata allegoria progettata dal defunto stesso, che grazie alla mostra Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere (21 dicembre 2018 – 15 ottobre 2019) in cui sono state esposte 1220 opere tra dipinti, statue, arazzi, porcellane, armi, e oggetti di arti decorative provenienti unicamente dai cinque depositi di Capodimonte, e grazie alle Giornate di studi organizzate a conclusione della mostra, ha ritrovato la meritata attenzione del pubblico e degli studiosi.

Il testo è a cura di Alessandro Mascherucci e Yuri Primarosa, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo.

 

Cinque figure allegoriche animano il medaglione bronzeo modellato tra il 1661 e il 1663 da Antonio Giorgetti (1635-1669) per la tomba romana dell’illustre Luca Olstenio (1596-1661), erudito di fama internazionale.

 

Antonio Giorgetti
Medaglione allegorico di Luca Olstenio
1661-1663
Napoli
Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

Si tratta, partendo da sinistra, delle personificazioni della Chiesa cattolica (la figura velata seduta su un tempio con le chiavi nella mano sinistra), della Verità (nuda e con il disco solare in mano) e della Geografia (la figura femminile genuflessa che regge il rotulo e indica il globo terracqueo e i suoi scritti), accanto a quelle del fiume Tevere – con Romolo e Remo che giocano con la lupa – e dell’Elba (raffigurata nella posizione canonica delle antiche divinità fluviali).

 

Ritratto inciso di Luca Olstenio
Augsburg 1747

 

L’immagine celebra le origini tedesche di Olstenio e la sua amata città d’adozione, nella quale il personaggio si era trasferito dalla natia Amburgo nel 1627 su invito del cardinale Francesco Barberini, grazie alle raccomandazioni di Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, altro eruditissimo uomo di cultura in stretto rapporto con la corte di Urbano VIII.

 

Andrea Sacchi (attr.)
Ritratto del cardinale Francesco Barberini
1631-1633 ca.
Colonia
Wallraf-Richartz-Museum

 

Nella capitale papale il poliedrico Olstenio prese gli Ordini sacri e, nel 1636, fu messo a capo della Biblioteca barberiniana, ricevendo tutti gli onori riservati a un grande umanista cristiano.

A Roma, inoltre, fu nominato protonotario apostolico e canonico di San Pietro, mentre, a partire dal 1629, il suo nome risulta affiliato all’Accademia dei Lincei.

L’autorità culturale dello storico e geografo tedesco, inoltre, sopravvisse alla morte di Urbano VIII, dal momento che nel 1653 Alessandro VII lo riconfermò alla guida della Biblioteca Vaticana.

Per quest’ultimo Olstenio organizzò il trasferimento a Roma della libraria urbinate dei Montefeltro e, soprattutto, favorì la conversione al cattolicesimo della regina Cristina di Svezia, stabilitasi a Roma nel 1655.

 

La fortunata carriera e l’alta statura intellettuale di Olstenio spiegano, assieme alle sue altolocate frequentazioni, la speciale iconografia del suo medaglione funebre: si tratta di un emblema piuttosto speciale, distante dalle consuete rappresentazioni sacre o edificanti che venivano inserite nelle zone figurate delle tombe di età barocca.

Ci troviamo davanti, infatti, a una sofisticata allegoria progettata dal defunto stesso sulla scia delle concettose immagini profane incise a bulino sui frontespizi delle più pregiate edizioni a stampa a lui contemporanee.

Questo, in poche parole, è il senso dell’immagine: il Mondo è guidato alla Verità, e quindi alla Sapienza, dalla Chiesa di Roma.

L’allegoria, quindi, allude alla conversione di Olstenio, come pure, di riflesso, a quella di Cristina di Svezia, che aveva abbracciato la fede cattolica grazie alle prediche dell’erudito.

L’iscrizione aurea in caratteri greci sul bordo superiore del medaglione celebra il legame del personaggio con la famiglia Barberini.

Si tratta, infatti, della citazione dell’ultima parte del Salmo numero 81: “thelason meli ek petras”, ovvero “li sazierei con miele di roccia”.

Il passo allude al salvifico cammino verso la fede e verso Dio, collegato alla condanna del dio straniero e dei nemici del Signore: temi legati al rifiuto del culto protestante da parte di Olstenio, abbinati al miele nutriente delle api, che costituisce un’evidente allusione all’insetto araldico dei Barberini.

 

Monumento funebre di Luca Olstenio
1661-1663
Roma
Santa Maria dell’Anima

 

La tomba dell’erudito nella chiesa romana di Santa Maria dell’Anima fu realizzata per volontà di Francesco Barberini, partialissimo amico ed esecutore testamentario di Olstenio.

Quest’ultimo, non a caso, aveva scelto di farsi seppellire nel tempio teutonico, chiesa nazionale dei fedeli di lingua tedesca residenti o in transito nella capitale papale, di cui era stato rettore nel 1635, nel 1650 e nel 1656, ricoprendo anche l’incarico di provvisore.

Il sito scelto per il monumento sulla navata sinistra (tra la porta centrale che apre verso un cortile e la cappella dei Margravi di Brandeburgo) gode di una posizione di assoluto rilievo nella chiesa.

Il sepolcro segue un progetto grafico conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, che Giorgetti aveva eseguito per lo stesso Olstenio quando quest’ultimo era ancora in vita.

 

Antonio Giorgetti
Progetto grafico del monumento funebre di Luca Olstenio
1661
Biblioteca Apostolica Vaticana
ms. Chigi P VV9, f. 81

 

La forma e i materiali della tomba, come pure i soggetti dei medaglioni, furono dunque progettati nei minimi dettagli dall’erudito, benché la realizzazione dei vari pezzi scolpiti fu avviata poco dopo la sua morte, sopraggiunta nel mese di febbraio del 1661.

La documentazione archivistica conservata nel Registro de’ Mandati del cardinale Francesco Barberini, scoperta e studiata da Jennifer Montagu, fornisce ulteriori precisazioni sulla cronologia del monumento.

Almeno dal gennaio del 1660, infatti, Giorgetti era entrato stabilmente al servizio del prelato, che in vari documenti si riferisce a lui chiamandolo nostro scultore.

Dalle carte d’archivio, inoltre, sappiamo che Giorgetti fu stipendiato per dodici mesi, a partire dal luglio 1661, con i denari provenienti dall’eredità di Olstenio depositati presso il Monte di Pietà.

Nel giugno del 1663, infine, lo scultore ricevette il saldo totale di 332 scudi dal cardinale per “tutte le spese fatte p[er] il deposito del quondam Mon.re Luca Holstennio”, ornato da “due putti in marmo e [da] due medaglioni di bronzo”.

Nei documenti, inoltre, sono ricordati anche i nomi dei collaboratori di Giorgetti: i fonditori Giovanni Artusi e Carlo Spagna, e il doratore Giovanni Mattia Sangle.

 

Dopo più di due secoli di oblio, la mostra Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere (21 dicembre 2018 – 15 ottobre 2019) ha tirato fuori il medaglione dai magazzini del Museo, consentendoci di progettare la sua ricollocazione nella chiesa di Santa Maria dell’Anima, al fine di restituire al godimento del pubblico e alla conoscenza degli studiosi l’antica configurazione di una pregevole opera d’arte, eseguita da uno dei più valenti collaboratori di Bernini.

Il progetto di ricomposizione del sepolcro, da poco formalizzato dal direttore Sylvain Bellenger con un’apposita convenzione, è sostenuto e finanziato dal Pontificio Istituto Teutonico, nella persona del suo Rettore Mons. Franz Xaver Brandmayr, ed è promosso dalla Soprintendenza Speciale di Roma, dalla Direzione Generale Musei e dallo stesso Museo e Real Bosco di Capodimonte, con la collaborazione delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma.

La tomba dell’erudito barberiniano, del resto, appare ancora integra nelle tre incisioni che la fotografano nel corso del XVII e all’inizio del XVIII secolo.

La prima è quella di Pietro Santi Bartoli, eseguita a Roma nel 1666, che costituisce peraltro un prezioso terminus ante quem per la datazione del monumento.

La seconda, invece, fu realizzata da Damperviel nel 1674, anche se fu pubblicata soltanto nel 1766.

 

Ian Gerard Damperviel
Incisione del monumento funebre di Luca Olstenio
1674

 

La terza stampa, databile tra il 1700 e il 1705, costituisce una delle ultime immagini che documentano la presenza del medaglione originale al centro del monumento, essendo stata incisa poco prima che il grande architetto Filippo Juvarra copiasse gli elementi decorativi del sepolcro nel suo taccuino di disegni oggi al Metropolitan di New York, ottant’anni prima dell’occupazione francese di Roma.

 

Hendrick Elandt
Incisione del monumento funebre di Luca Olstenio
1700-1705

 

Il 23 febbraio 1798, negli anni dell’effimera Repubblica Romana, la chiesa venne infatti profanata e depredata di diversi suoi beni: per qualche anno il tempio fu utilizzato come fienile, la sagrestia divenne una stalla e l’ospedale dei pellegrini fu trasformato in un alloggio per i soldati.

Fu senza dubbio in questo drammatico momento che avvenne l’asportazione del medaglione.

Nello stesso frangente, inoltre, sparirono i preziosi arredi e tutti i paramenti liturgici conservati nella sagrestia.

Diverse opere furono ricoverate nella chiesa di San Luigi dei Francesi, usata come deposito, o anche in Palazzo Farnese, prima di essere inviate in Francia, o, per altre vie, a Napoli, dove pure vennero effettuati sequestri.

La chiesa riaprì al culto dei fedeli il 5 aprile 1801, in occasione delle celebrazioni pasquali.

Dopo questa data, è difficile immaginare che possa essere avvenuta la rimozione della scultura di Giorgetti.

La copia in gesso del medaglione di Capodimonte fu allestita sul monumento nel 1832, quando sappiamo che fu verniciata con una patina scura per simulare l’effetto del metallo, anche se la grossolana fattura dell’intaglio della scultura non rende giustizia al finissimo modellato dell’originale barocco.

 

La prima menzione dell’oggetto nelle collezioni napoletane confluite nel Museo di Capodimonte è quella registrata nell’inventario del marchese Giuseppe Haus, compilato nel 1805, nel quarto volume dei Documenti Fiorelli.

Il documento è diviso in tre parti: i monumenti di scultura, la collezione Farnese e i vasi antichi greci figulini.

Il medaglione di Giorgetti è presentato nel secondo volume, come un oggetto senza numerazione accanto a pezzi antichi e moderni: la menzione del bassorilievo allegorico con iscrizione θηλασων μελι εχ Πετρας (thelason meli ek petras) si riferisce infatti incontrovertibilmente all’opera in esame.

A partire da questo momento la localizzazione del bassorilievo diventa più semplice, essendo menzionato nell’Inventario Generale del Real Museo Borbonico, redatto tra il 1816 e il 1829 da Michele Arditi, Soprintendente Generale degli Scavi e Direttore del Museo borbonico.

Negli anni settanta dell’Ottocento, infine, venne compilato un nuovo Inventario Generale, nel quale la scultura è dotata di nuovi numeri: il 773 nella raccolta Medio Evo, e il 10793 per l’inventario generale, ancora visibile sulla cornice dell’opera.

 

Vecchio numero di inventario sul medaglione di Antonio Giorgetti

 

I medaglioni della tomba, a guisa di due facce di una stessa medaglia, raffigurano il ritratto del defunto e la sua immagine allegorica, incastonati in una raffinata struttura di marmi policromi.

Sopra un’alta base di marmo nero, è montato un finto drappo realizzato in marmo bianco su cui è iscritto l’elogio funebre di Olstenio, fermato ai lati da due splendidi teschi alati e ghignanti eseguiti in giallo antico.

 

Antonio Giorgetti
Monumento funebre di Luca Olstenio
1661-1663
Roma
Santa Maria dell’Anima, particolare

 

La modesta copia del tondo allegorico di Capodimonte è posizionata tra due zampe leonine in marmo giallo che sorreggono l’urna del defunto, decorata con lo stemma di Olstenio (l’albero araldico sormontato dal cappello di canonico di San Pietro) e con ghirlande (un tempo dorate).

In alto, due putti in marmo bianco sorreggono il secondo medaglione recante l’effigie di Olstenio, anch’esso apparentemente replica di un originale di Giorgetti, per il quale il prossimo restauro rappresenterà un’occasione di indagine.

I due bassorilievi bronzei erano inquadrati da cornici dorate: quello di Capodimonte, infatti, conserva ancora quella originale.

L’alternanza dell’oro e del marmo giallo tra gli elementi bianchi e neri dava quindi vita a una sorta di rete o maglia che conferiva un ritmo assai calibrato ai volumi del sepolcro.

Tale armonia cromatica sarà presto ripristinata grazie a un accurato intervento conservativo che si svolgerà all’indomani della ricollocazione del medaglione nel suo contesto originario, in modo da restituire al monumento non solo l’unità perduta ma anche le sue antiche, splendenti partiture cromatiche.

 

Il testo di Alessandro Mascherucci e Yuri Primarosa è una breve rielaborazione dell’intervento presentato nelle giornate di studi organizzate a conclusione della mostra Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere (21 dicembre 2018 – 15 ottobre 2019), a cura di Maria Tamajo Contarini Carmine Romano, nell’Auditorium del Museo e Real Bosco di Capodimonte, che hanno proposto una rilettura delle collezioni, stimolando nuove esperienze e confronti ancora da scrivere.

 

Scopri la mostra Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere (21 dicembre 2018 – 15 ottobre 2019)

 

 

Il testo di Alessandro Mascherucci e Yuri Primarosa è inserito nell’iniziativa  “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”.

 

 

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