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L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Ritratto di giovane di Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino

Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Stefano Causa, docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ci guida alla scoperta di un capolavoro della ritrattistica cinquecentesca, l’enigmatico Ritratto di giovane di Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino (Firenze 1494-Parigi 1540).

 

Il Giovane di Capodimonte – uno dei quattro o cinque vertici della ritrattistica del ‘5oo – continua a dominarci con lo sguardo da una camera sovraccarica di tappeti, arazzi e cortinaggi come l’atelier di un pittore del tempo di Napoleone III.

 

Spettacolosamente bello, d’una timidezza aggressiva pronta a scattare al primo segnale di pericolo, siede su un tavolo in modo informale, come un liceale incerto tra la scuola e la strada, ruotando leggermente il busto verso chi guarda (con effetto, insieme di moto e amplificazione, che giustifica come le sperimentazioni ottiche, rilanciate tra Firenze e Roma nel primo ventennio, si spendessero soprattutto nel campo del ritratto).

 

La spada bianca della camicia è una freccia puntata in direzione del volto illuminato da sinistra come un quarto di luna.

 

La pittura liberissima delle mani nervose (naturale proseguimento della psiche, come insegna Leonardo da Vinci) è un distintivo del lessico maturo di Rosso Fiorentino: una si spalanca sul fianco mentre l’altra, che impugna un bastone, precipita a mo’ di uncino.

 

Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino, Ritratto di giovaneparticolare

 

Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino, Ritratto di giovane, particolare

 

Di lato e di sfondo fa capolino un’erma con un mascherone che decora una porta (o la cornice di uno specchio).

 

Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino, Ritratto di giovane, particolare

 

Alle spalle del personaggio, la cui identità ci è ancor ignota, si svolge parte di un arazzo.

In basso la pagina è chiusa dal disegno di un tappeto (come, negli stessi anni, all’altro capo del paese, se ne vedevano nella guardaroba di scena di un veneziano, un altro straordinario ritrattista dalla vita non meno errabonda, Lorenzo Lotto).

 

Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino (Firenze 1494-Parigi 1540)
Ritratto di giovane, 1525 circa
tavola, cm. 120 x 86
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

Non ci vuol molto a capire perché questo scalpitante maestro fiorentino – educatosi a Firenze, cresciuto nella Roma clementina e morto relativamente giovane in Francia dove era stato chiamato da Francesco I – fosse specialmente ricercato come ritrattista.

 

In questi primi anni 1520 solo il Parmigianino cui, non a caso, il quadro era riferito, è capace di simili spiazzamenti ottici.

Per un caso fortuito tre apici della ritrattistica di Lotto, Rosso Fiorentino e Parmigianino stesso sono appesi a pochi metri di distanza nello stesso museo. Bene.

 

Ora rispetto al canone dei ritratti di Raffaello, che calamitano l’attenzione verso l’effigiato limitando il resto dell’inquadratura a puro o mero fondale; quello di Rosso è un quadro violentemente centrifugo dove gli elementi di contorno (oggi non facilmente leggibili), nonché arricchire e integrare la figura in un ritratto ambientale, creano serie zone di disturbo in chi guarda.

Il quadro scappa da ogni parte per effetto d’una scrittura spregiudicata: rabbiosamente antinaturalistica (come nei rebbi in cui si trasformano le dita delle mani); più composta nelle parti di maggiore concrezione sentimentale (il viso, il tappeto turco o il canalone d’ombra sotto il mento).

Lo spettatore (uno spettatore turbato oltre che coinvolto) rimane sconcertato dal fatto che di ritratti, nel quadro, se ne devono contare almeno un altro (se non due).

 

Calibrato maliziosamente a centro pagina il mascherone diventa il punto di massima attenzione del quadro, come un ricalco satirico o teratologico del personaggio – come una pietra che incrini e spacchi il vetro.

Un osservatore consapevole non avrebbe avuto difficoltà a mettere in rapporto questo autentico contrappunto visivo con alcune marginalia del catalogo di Michelangelo, dai disegni con maschere e teste faunesche, fino ai capitelli della sagrestia nuova di San Lorenzo.

 

Michelangelo, Teste di fauno e maschere, Londra, British Museum

 

Chi fece i compiti su questo quadro sorprendente, di cui sappiamo ancora pochissimo, fu certamente il Bronzino (di una generazione più giovane di Rosso).

Il Ritratto di giovane con libro (al Metropolitan di New York dal 1929) è successivo a questo di dieci o al massimo quindici anni: difficile essere precisi. Ma il risultato non potrebbe essere più diverso.

 

Il Bronzino, Ritratto di giovane con libro, New York, Metropolitan Museum

 

Certo se la posa è simile, il mascherone dell’erma ha cambiato posto duplicandosi tra la mensola del tavolo e il pomello della sedia.

Ma la rilassatezza, naturale e trionfale, del modello del Bronzino (che, per parafrasare Longhi, si staglia in calma dominazione delle circostanze) è estranea alle corde di Rosso Fiorentino.

Il passaggio dal ritratto di Capodimonte a quello del museo americano allenta la tensione ma non la qualità (che rimane altissima e impeccabile in ogni punto).

Semmai intercetta il mutamento nell’uso politico delle immagini.

La gioventù sbrancata e malata di Rosso si è riconvertita – rassettandosi e rassodandosi un poco – nella giovinezza dorata del Bronzino.

Quelli sono animali impauriti, questi sono i futuri reggitori della cosa pubblica.

 

Ogni grande museo ha un filone privilegiato: a Capodimonte vi scorrono i ritratti veneti, padani e toscani del Rinascimento.

Quando nel 1957 la Pinacoteca cominciò a girare a pieno ritmo nella Reggia il Ritratto di giovane fu immediatamente una delle vedette del percorso al secondo piano.

Sepolto da uno strato compatto di nere ridipinture era stato riesumato da Leonetto Tintori.

Il riferimento al Rosso, mai più messo in discussione, risale al 1940 e spetta all’allora cinquantenne scrittore storico d’arte Roberto Longhi che corresse una precedente attribuzione al Parmigianino (errore intelligente se mai ce ne furono e che, proprio qui, a Capodimonte, si verifica spostandosi di una o due sale).

 

Esposto tra una Sacra Famiglia di Gerolamo del Pacchia e l’Immacolata Concezione di Fra Bartolomeo il Giovane di Rosso offriva il contributo della neonata pinacoteca alla maggiore intelligenza del primo ‘5oo toscano; di quella sua parte precipua, anzi, che allora si definiva rotondamente manieristica e oggi, dopo lungo peregrinare dell’aggettivo, si preferisce più saggiamente non definire in alcun modo.

La Flagellazione di Cristo del Caravaggio (che si trovava nella chiesa di San Domenico Maggiore, da cui avrebbe traslocato solo nel 1972) non era ancora quel feticcio incontrastato del museo che è divenuto oggi.

 

Prima dell’inaugurazione di Capodimonte (1957) il quadro fece due apparizioni cruciali.

Intanto, completò la selezione dei cinque Rosso con cui si apre la mostra su Fontainebleau alla mostra d’Oltremare di Napoli nel 1952 (le schede del catalogo, divise tra Ferdinando Bologna e Raffaello Causa non sono siglate; ma quelle di Rosso sono farina del più giovane dei due, Bologna).

A vedere le fotografie si capisce che le sale della rassegna furono la prova generale per le scelte di allestimento della pinacoteca; né solo per la porzione cinquecentesca.

Qualche anno dopo il ritratto non mancò, con una collocazione nell’ultima fase fiorentina, la focalizzazione su Pontormo e il primo manierismo fiorentino apertasi a Firenze nel ’56.

Da quel momento il Rosso non è più caduto dalle pubblicazioni sul museo – e ha contribuito alla sua fama sovralocale l’immagine nel fascicolo dei Grandi Musei del Touring del 1982.

Quando, nel 1959, la Rai decise di sponsorizzare un libro sul museo, come un omaggio ritardato, il soprintendente Bruno Molajoli – colui che aveva fatto in cinque anni l’impresa di trasferire i quadri dal Palazzo degli Studi alla Reggia di Capodimonte – scelse giusto quel filone specifico.

Ritratti a Capodimonte, 1959. Come a dire che un’antologia di ritratti è, di per sé, una guida del museo.

In questo libro di grande formato, oggi piuttosto raro, il Giovane occhieggia tra le prime tavole: poco dopo il Lotto e subito prima di Parmigianino. E la staffetta continua.

 

Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino (Firenze 1494-Parigi 1540)
Ritratto di giovane, 1525 circa
tavola, cm. 120 x 86
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

Il testo di Stefano Causa è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”

 

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